sabato 27 settembre 2014

Pensieri smarriti

Ho imballato i pensieri migliori,
li ho sigillati in buste trasparenti
come reperti del mio corpo.
Li ho spediti nella plastica a bolle,
ma il pacco è andato smarrito
in un punto imprecisato
tra Torino e Milano.

Chiamo il call center.
Attendo in linea.
Dall'altro capo, la voce registrata.
Poi più niente,
soltanto io,
che rimango in ascolto
del vuoto ronzio d'ape.

giovedì 25 settembre 2014

L'evasione

Esiste nella maggior parte di noi la tendenza radicata ad evadere, giorno dopo giorno, dal mattino alla sera, dalle domande decisive. Senza tregua cerchiamo il modo di eluderle, recitando di volta in volta il ruolo di qualcosa o qualcuno. I libri di evasione, i film di evasione, le fotografie di evasione, la musica di evasione, gli spettacoli teatrali di evasione, le mostre di evasione, tutte queste molteplici forme di intrattenimento, assecondano e rafforzano tale tendenza.
Al contrario, l'arte va sempre contro questa propensione, è sempre ostile ad essa, e per questa ragione è temuta, e in genere avversata, dalla maggior parte di noi. Nel richiamarci e risvegliarci alla realtà, l'arte ci riporta ogni volta indietro, sempre e di nuovo ci afferra e ci trascina per i piedi, per così dire, dentro la cella da cui siamo evasi, lasciandoci alla fine soli nella penombra, chiusi nella prigione degli interrogativi fondamentali.

mercoledì 24 settembre 2014

Guardarsi dentro

Dai buchi degli occhi entra la luce.
Le mie pupille sono spioncini di vetro
da cui guardo nella mia mente,
stando fuori di me,
gli echi deformati delle cose.

martedì 23 settembre 2014

L'ultima ora

Sempre e di continuo ci troviamo gettati in questa distretta, la percezione, inconfessabile anche a noi stessi, che ogni cosa è giunta all'ultima ora.

lunedì 22 settembre 2014

L'uomo nella libreria

L’uomo era accanto a me, nella libreria. Allampanato, ben vestito, capelli neri e lisci divisi dal bianco della scriminatura. Aveva una grossa busta gialla sotto un braccio e un libro tra le mani, sembrava che l’avesse raccolto a casaccio dalla pila. L’uomo si guardò attorno, sbirciò sopra la mia testa e ai lati delle mie orecchie; oltre le mie spalle, il commesso era indaffarato ad ammucchiare libri dentro un carrello della spesa. L’uomo tirò fuori una biro dalla tasca interna della giacca e scarabocchiò in fretta qualcosa all’interno del libro aperto. Richiuse il libro, lo posò sullo scaffale, e rificcò rapidamente la biro in tasca.
Quando si accorse di me, ebbe un sussulto, mi scrutò con due piccoli occhi arrossati e acquosi, come volesse e non volesse piangere. Balbettò qualcosa: “Dovevo farlo… oggi… ho avuto una giornata… sa… una di quelle giornate terrificanti… mi dispiace…”. Con la mano libera strinse forte il bordo della busta. Stava tremando. Vidi l’etichetta incollata vicino alla chiusura del plico: Azienda Sanitaria Ospedaliera ASL 1. E sotto la dicitura: Referto Esame Istologico.
Non sapevo come comportarmi. Divenni invisibile. Poi cercai il suo volto, ma lui era già uscito dal negozio. Presi il libro e cominciai a sfogliarlo. Sembrava intatto, ma nello spazio vuoto sull’ultima pagina, subito sotto il paragrafo conclusivo, l’uomo aveva scritto qualcosa. Poche parole incise sulla carta. C’era scritto, IO VOGLIO VIVERE.

mercoledì 17 settembre 2014

La realtà oggettiva

La tanto agognata realtà oggettiva la puoi trovare soltanto nell'arte, se riesci a sviscerarla. Trovi Gould ad esempio, e hai trovato la realtà oggettiva. Oppure trovi Bergman, e hai trovato la realtà oggettiva. Faulkner ancora, ed ecco la realtà oggettiva. Nella scienza invece niente di niente, dell'agognata realtà oggettiva neppure l'ombra, anche se ti metti d'impegno, anche se ti sforzi di digerire intere tonnellate di scienza, non approderai mai a nulla che non sia irreale e soggettivo.

Contro se stessi

Se vogliamo portare a compimento il pensiero che più conta, quello da cui tutto nella nostra vita dipende, sempre e comunque dobbiamo rimuovere l’ostacolo che siamo diventati per noi stessi, sempre e comunque dobbiamo rivoltarci per così dire contro noi stessi.

Robert's Breath

Robert Wyatt: how one does not commit suicide after falling from the window on the fourth floor and realizing that he will never walk again.
While at the hospital, he started to write one of the most personal and intimate album ever, "Rock Bottom", realizing that he would never walk again let alone rock drumming (though he would continue to play drums and percussion in more of a "jazz" fashion, without the use of his feet).
The lyrics to Alifib seem to be about his time in hospital, lying in bed, with his wife Alfreda Benge (nickname Alife, hence Alifib) by the side of him.
Fuelled by the motivation of the new musical freedom he had just found under his inconvenient paraplegic condition, and additionally inspired by the dramatic circumstances that outlined his past life as he knew it, the rhythm background of the song is traced not by drums, but by the syncopated breathing of a man in a coma supported by machines.


"His private persona erupted on Rock Bottom (1974), one of rock music's supreme masterpieces, a veritable transfiguration of both rock and jazz. Its pieces straddle the unlikely border between an intense religious hymn and a childish nursery rhyme. Along that imaginary line, Wyatt carved a deep trench of emotional outpouring, where happiness, sorrow, faith and resignation found a metaphysical unity. The astounding originality of that masterpiece, and its well-crafted flow of consciousness, were never matched by Wyatt's later releases." -Piero Scaruffi


Alifib - lyrics

Not nit not nit no not
Nit nit folly bololey
Alifi my larder
Alifi my larder
I can't forsake you or
Forsqueak you
Alifi my larder
Alifi my larder
Confiscate or make you
Late you you
Alifi my larder Alifi my larder
Not nit not nit no not
Nit nit folly bololy
Burlybunch, the water mole
Hellyplop and fingerhole
Not a wossit bundy, see ?
For jangle and bojangle
Trip trip
Pip pippy pippy pip pip landerim
Alifi my larder
Alifi my larder

martedì 16 settembre 2014

Rappresentazione

Aveva allestito il suo diario Facebook come un'interminabile passerella, pensava, e sulla pedana costringeva ogni giorno a sfilare, obbligata in ingombranti e talvolta ridicoli costumi di scena, la lenta processione delle proprie parziali opinioni e decisioni inopportune.

sabato 13 settembre 2014

Solitudine

Aveva intuito nettamente che la donna era sola. La conosceva a malapena, come lei stessa aveva puntualizzato, ma qui non si trattava di seguire le regole della razionalità euclidea, e anche se c'era il rischio concreto che tutto quanto non fosse altro che una patetica proiezione della sua mente, questa, lui scriveva, era la materia di cui era fatta la sua solitudine...

La solitudine era portatrice di guai. La solitudine era lei che dipendeva dalla caffeina, lei che aveva sonni disturbati senza sogni, lei che saltava da un libro all'altro senza finirne nessuno. Era come una cattedrale bombardata. Come assistere, non senza un sottile piacere, alla demolizione di un edificio abbandonato. Strane nuove abitudini, strani nuovi interessi, il sistema nervoso allo scoperto, dove tutti lo potevano vedere, invece che dentro, dove dovrebbe stare. La solitudine era mangiare quanto basta per non svenire durante il giorno. Era monitorare continuamente i contatti sullo smartphone. Era buttarsi in imprese velleitarie, inseguire fantasmi. Ruminazioni senza fine. Domande galleggianti. Congiure architettate contro di lei, forse solo nella sua mente. Paure allo stato solido. Fughe.
Questa è la materia di cui era fatta la sua solitudine.
Era diventata un'altra persona, e ora era pronta.

Breve lezione di scrittura

Di tanto in tanto - mi disse - devi fare ritorno a Miles Davis. Lui non spreca mai neppure una nota, ascoltale con attenzione, e per qualche minuto non pensare a nient'altro. Fece una pausa. Riesci a sentire? - riprese. Ogni nota è lì dove deve stare, esatta e inevitabile. Tu devi fare lo stesso - mi disse -, ma devi farlo con le parole.

venerdì 12 settembre 2014

Apologia del centro commerciale

Comprese in quell'istante, non senza provare un moto di orrore misto a perversa soddisfazione, di essere divenuto letteralmente <dipendente dal centro commerciale>. Capì, in altre parole, che consegnarsi senza riserve al vorace e rassicurante stordimento collettivo del centro commerciale era quanto di più prossimo all'essere felice ricordasse di avere mai sperimentato.

I manichini

L’intercity entra nella stazione di Milano Centrale alle otto e cinquanta. Scendo dal treno, e mi trovo in mezzo ai manichini. Una miriade di manichini affolla la banchina; in qualunque direzione diriga lo sguardo, non vedo altro che manichini, a perdita d’occhio. I manichini sono calvi, dai lineamenti asessuati. Indossano abiti maschili o femminili, perlopiù giacca e cravatta o tailleur. Sono immobili; ciascuno è sistemato in una posizione particolare, è disposto in una particolare postura che ricalca un gesto, che allude a un’intenzione, a un movimento. Lembi di plastica color rosa carico spuntano dai vestiti, offrendosi ai miei occhi come mani, facce, nuche assemblate in serie. Le superfici visibili sono perfettamente lisce, glabre, dure. Fatico a muovermi in mezzo alla moltitudine dei manichini. Mi sento assediato, in trappola. Il respiro diventa affannoso. Comincio a farmi largo sbracciando, sgomitando; nell’urto, alcuni manichini barcollano paurosamente ma rimangono in piedi, pochi si inclinano e cadono al suolo. Scendo le scale mobili, percorro l’atrio della stazione, anch’esso intasato dai manichini. Il sudore mi cola sulla faccia. A stento riesco a raggiungere la scalinata di accesso alla metropolitana. I manichini sono del tutto indifferenti ai miei sforzi; sembrano privi di qualsiasi sentore della mia esistenza…

Nostalgia del futuro

Se almeno una volta nelle vita, scriveva, anche le tue ossa, come le mie, hanno tremato dinanzi a quella combinazione di rammarico e attesa, di disfatta e rivincita, di anelito e struggimento, a cui non so dare altro nome che "nostalgia del futuro", allora, e soltanto allora, possiamo a ragione dirci simili.

giovedì 11 settembre 2014

Anafora del giorno dopo

Comunque sfocati, comunque insonni, comunque a tentoni, comunque lontani, comunque di fretta, comunque soli, comunque troppo presto, o troppo tardi.

mercoledì 10 settembre 2014

Sotto assedio

Costantemente siamo tenuti sotto assedio dagli effetti delle nostre scelte, soprattutto quelle sbagliate. Di continuo siamo minacciati e infine assaliti dalle conseguenze delle nostre decisioni inopportune, conseguenze di cui conosciamo soltanto approssimazioni, e che quindi ci colgono sempre alle spalle, ferendoci inesorabilmente.

martedì 9 settembre 2014

L'arte dell'esagerazione

Se esercitata con la disciplina e la ferocia necessarie, l'arte dell'esagerazione è la sola capace di tramutare il tragico in grottesco, il grottesco in comico, il comico in sopportabile.

sabato 6 settembre 2014

Confessione

Dovrei renderlo più distaccato, dovrei nascondere la mia figura. Dovrei considerare le responsabilità della caratterizzazione, dovrei romanzare il tutto, rivestirlo di ironia, confondere le acque, infilarci dentro aneddoti altrui come se fossero miei, renderlo politicamente corretto, frivolo quanto basta, dovrei fare in modo che l'artificio crei una superficie elegante, dovrei disporre gli eventi in ordine; dovrei aspettare e scriverne più in là; dovrei scriverne a mente fredda, quando il desiderio si è placato, non dovrei appesantire la scrittura di frammenti, di ferite aperte, di fallimenti, di passioni incontrollate; non dovrei dover pensare l'impensabile, non dovrei dover soffrire, dovrei rivolgermi qui a te direttamente (è assurdo, ma è così che mi manchi), dovrei rendere prevedibile e inoffensivo il nostro viaggio in questo paesaggio terreno, dovrei scrivere una confessione migliore di questa, non dovrei dire che hai i tuoi demoni, come li ho io.

mercoledì 3 settembre 2014

Insonnia (II)

L'emorragia veniva dal quadrante e intanto
fissavi la pastiglia sul comodino e chiedevi
imploravi di buttarla dal balcone e vederla cadere
centrare la pozzanghera come il bicchiere d'acqua a metà.
Bastava staccarsi dalla propria immagine, entrare nel completo
farsi sordi al vaniloquio del verme della notte
ma non c'era verso, il mattino aveva le ore bendate.

Pensi al disco bianco, al sapore gessato accostato alla lingua...
sporgi il busto dal davanzale, lo pieghi in avanti
preghi che l'asfalto non ti entri dalle mani.

lunedì 1 settembre 2014

Bernhardiana. Dialogo incompiuto



Le citazioni sono tratte da opere di Thomas Bernhard (Heerlen, 9 febbraio 1931 – Gmunden, 12 febbraio 1989). Con esse l'estensore tenta di dialogare (in grassetto), ma a ben vedere il dialogo fallisce, spezzandosi in due monologhi.

"Teniamo in serbo le nostre domande perché noi stessi ne abbiamo paura, poi ad un tratto è troppo tardi per porle. Vogliamo lasciare in pace l'interrogato, non vogliamo ferirlo profondamente perché vogliamo lasciare in pace noi stessi e non ferirci profondamente. Rimandiamo le domande decisive e facciamo senza posa domande ridicole, inutili e meschine, e quando facciamo le domande decisive è ormai troppo tardi."

Col tempo ci abituiamo a ricacciare per così dire dentro di noi i nostri pensieri più grandi. Per sopravvivere, dobbiamo chiudere ermeticamente l'accesso ai nostri pensieri più alti e decisivi e rendere pubblici solo i nostri pensieri più bassi, che con quelli nascosti hanno poco, di solito proprio nulla in comune, perché se dichiarassimo apertamente i nostri pensieri più grandi saremmo spacciati.

“I grandi pensatori li abbiamo ingabbiati nelle nostre librerie, da dove essi, condannati al ridicolo per sempre, ci guardano con gli occhi sbarrati, così diceva, pensai. Notte e giorno io sento il lamento dei grandi pensatori che sono stati rinchiusi nelle nostre librerie, quei ridicoli grandi spiriti ormai ridotti come mummie sotto vetro, così diceva, pensai. E’ tutta gente che ha violato la natura, diceva, è per questo che vengono puniti e da noi ficcati per sempre nelle nostre librerie.
Le nostre biblioteche sono in un certo senso istituti di pena dove noi abbiamo rinchiuso i nostri grandi spiriti, naturalmente Kant in una cella singola e così Nietzsche, Schopenhauer, Pascal, Voltaire, Montaigne, i grandissimi nelle celle singole e gli altri nei cameroni, ma tutti per sempre e in eterno, mio caro, per tutti i tempi e all’infinito, la verità è questa. E guai se uno di questi uomini che hanno commesso un delitto capitale si dà alla fuga e scappa, subito viene per così dire impacchettato e reso ridicolo, la verità è questa. L’umanità è in grado di difendersi da questi cosiddetti grandi spiriti, così diceva, pensai. Dovunque si presenti lo spirito, subito viene impacchettato e ingabbiato…”

La maggior parte degli uomini a un certo punto viene prelevata di peso, rinchiusa e sigillata in gabbie mentali, chi nell'adolescenza, chi in gioventù, chi in età matura, e alla lunga finisce con l'affezionarsi profondamente ad esse, tanto da rifiutarsi di evadere anche se le viene indicata, in modo inequivocabile, la via di scampo.

“Cerchiamo dappertutto l’infanzia e dappertutto non troviamo altro che il famoso vuoto assoluto. Devi rassegnarti. In generale, quando ti volti, non vedi ormai altro che il vuoto assoluto, pensai, non solo per quanto riguarda l’infanzia, qualsiasi cosa, quando è passata, non è ormai altro che vuoto assoluto, mi dissi. Per questo è un bene se non ti volti più indietro, non devi più voltarti indietro, se non altro per salvaguardare te stesso, devi saperlo, pensai ora. Se ti volti indietro verso il passato, guardi soltanto dentro il vuoto assoluto, pensai, se guardi allo ieri, non è già nulla più che il vuoto assoluto, pensai, anche se guardi indietro all’attimo appena trascorso, non guardi ormai in null’altro che nel vuoto assoluto.”

Pochi sono disposti ad accettare questa verità semplice e terribile, che per l'uomo è impossibile sottrarsi alla scelta, neppure quando in apparenza non sceglie ma si lascia trasportare dall'inerzia.
Siamo condannati a scegliere. Di continuo, in ogni singolo istante, apriamo e chiudiamo porte di futuri possibili, e niente può mai tornare indietro.