mercoledì 31 luglio 2013

Se questi sono gli "Stati Uniti d'Europa"

Che la costruzione europea, in particolare Eurolandia (Uem), sia destinata a sprofondare nelle sabbie mobili sulle quali è stata eretta è una verità ormai nota, evidente persino alle pareti degli uffici che ospitano i funzionari di Bruxelles. Rimane tuttavia assai poco ovvia agli ostinati (eufemismo) Soloni della Sinistra Eurista, i quali continuano imperterriti a tacciare di preconcetto, miope, e sotto sotto pure fascistoide, anti-europeismo i detrattori del "sogno europeo". Questi ultimi non vorrebbero capire che i "sacrifici" imposti ai Paesi Porcelli - quelli di oggi, ma anche quelli di domani ("sinistra" profezia) - rappresentano i passi di avvicinamento, dolorosi ma obbligati, che condurranno alla soluzione finale che tutto spiega e tutto giustifica, gli "Stati Uniti d'Europa", quel Sommo Bene sempre più a portata di mano ma sempre di là da venire, prima difatti occorre ingoiare ancora un'altra "amara medicina", un altro "pacchetto di austerità".

I Soloni della Sinistra Eurista ci porgono, placidi e sorridenti, la seguente soave narrazione: non ignoriamo che nel mondo ideale si doveva partire da un'Assemblea Costituente, dalla stesura della Costituzione Europea, sancita possibilmente da svariati passaggi democratici e consultazioni popolari, ma così si sarebbe andati troppo per le lunghe; piuttosto, così le partitocrazie nazionali, dinanzi all'intuizione concreta di essere destinate a fare la fine di comitati d'affari periferici, elemosinanti e petulanti, oppure di sudditi compiacenti nei confronti della Bce, non avrebbero mollato l'osso.
Occorreva quindi partire dal fondo, dalla Moneta Unica, ovvero dal cessione della sovranità monetaria, al preciso scopo di forzare il processo...
In questo modo infatti le partitocrazie nazionali, private del "ciclostile della spesa pubblica allegra", ridotte ad incarnare l'odioso ruolo circolare di "stato debitore- stato (tar)tassatore", avrebbero loro malgrado acconsentito alla cessione della sovranità rimanente pur di garantirsi dosi adeguate di credibilità internazionale e quindi perpetuare, o incrementare, posizioni di potere nazionale o estero.
Dunque, concludono i Soloni della Sinistra Eurista con logica rocambolesca , "la strada intrapresa è sbagliata, ma finirà per portarci a destinazione".
In che cosa consisterebbe la "destinazione", ovvero l'obiettivo-destino-per-cui-agire compiendo tutto ciò che è necessario con assoluta determinazione? In altre parole, cosa dovrebbero essere gli "Stati Uniti d'Europa"?

"Stati Uniti d'Europa": un sovra-stato, posto "al di sopra" degli stati membri, forse una federazione dei medesimi; sovrano, ossia tale da esercitare quella somma di poteri e funzioni ad esso ceduti dagli stati membri (potere monetario in primis, poteri legislativo ed esecutivo in secundis); nazionale, in quanto è soltanto nel contesto di una nazione che l'esercizio della sovranità trova il proprio fondamento, la propria forza legittimante.
Sul concetto di nazione adottato, è pienamente condivisibile il definitivo sdoganamento, da residuo-spauracchio-fantoccio "teocratico" (legittimazione dall'Alto) ad entità del tutto innocua, non problematica, consistente in una comunità di individui che condividono elementi quali linguaggio-cultura (probabile espressione storica di un grado minimo di omogeneità etnica), delimitazione territoriale (confini), riferimento a una medesima Costituzione (patto sociale), fattori che sono condizioni concrete della deliberazione collettiva (esercizio democratico).
Confini territoriali, non importa quanto estesi, come elemento decisivo, addirittura costitutivo della democrazia. Come afferma Sapir, "l'esistenza della democrazia implica la chiusura dello spazio politico e questa chiusura implica una 'frontiera'".
Prima ancora, nazione come popolo, presupposto ineludibile del sorgere di quel potere costituente popolare a sua volta fatto fondativo della democrazia costituzionale. Peccato che:
" [...] i trattati di diritto internazionale che concretizzano la soggettività politica dell'Europa, non contengono neppure la citazione dell'identità sovrana di un popolo, non registrandosi alcun pronunciamento sociologico e storico degli individui viventi sul territorio Europa in tali sensi. Nè, per altro verso, si è mai registrato un "moto" culturale di tale portata da dar luogo a quel potere primario di natura Costituente che possa far ipotizzare la nascita, e poi la volontà, di un presunto "popolo europeo".
Chiara conseguenza e conferma di ciò, sta nel fatto che, mancato il potere popolare costituente come fatto fondativo storico, sociale e culturale, manca la stessa enunciazione sostanziale della democrazia costituzionale: questa, come abbiamo visto, è inscindibile dall'affermazione, come prioritario e inderogabile, del perseguimento dei diritti di libertà e dei diritti sociali degli individui che formano, a prescindere dalla estensione e demarcazione storica di un certo territorio, un tale popolo-costituente. [...]
Insomma, si può sostenere tutta la tensione idealistica di questo mondo, ma semplicemente non si può affermare la prevalenza di un'Europa che, come democrazia costituzionale, non c'è."

Ecco dunque emergere la "piccola" crepa - chiara e distinta secondo gli schemi della vecchia cara logica "classica" - nel pensiero strabico degli SSE: il popolo europeo? Non pervenuto
Ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli se i Soloni della Sinistra Eurista traessero ispirazione, nell'immaginare gli "Stati Uniti d'Europa", dal modello degli Stati Uniti d'America. Quale sarebbe il fattore storico e culturale aggregativo-coagulante del popolo europeo? Quale il terreno simbolico del "sentire comune" europeo?
Insomma, quale sarebbe, stando ai Soloni della Sinistra Eurista, l'equivalente del 4 luglio? Il 7 febbraio del Trattato di Maastricht? Semplicemente patetico.

Ergo: democrazia costituzionale europea? Non pervenuta. Ergo: nazione europea? Non pervenuta.
Ma se nella costruzione europea non c'è posto per questi mattoni, "anche la sovranità è destinata a non passarsela molto bene". Da dove dovrebbe trarre infatti il proprio fondamento, la propria forza legittimante, l'esercizio della sovranità da parte di qualsivoglia organo di governance europea?
Da nulla, ovviamente.

Allora, è più probabile che i Soloni della Sinistra Eurista, anche se non sarebbero disposti ad ammetterlo neppure sotto tortura, preconizzino l'avvento del meraviglioso mondo di von Hayek, Musa indiscussa della "costruzione UE":
"[...]
Si tratta di un saggio di von Hayek, del 1939: esso ci attesta la sua chiara precognizione degli effetti del "federalismo interstatale"; a cui egli, ovviamente, e proprio perchè capace di realizzare i fini ideali con cui ritiene di modellare la società, era altamente favorevole.[...]
Con logica stringente, Hayek dimostra che una federazione fra Stati realmente diversi porta necessariamente all'impossibilità di un intervento statale nell'economia, e quindi alla vittoria di politiche economiche liberiste (il che ovviamente dal suo punto di vista è un bene). Infatti una federazione per essere stabile ha bisogno di un sistema economico comune e condiviso, e quindi della libera circolazione di merci e capitali, e questo porterà ovviamente a una perdita di controllo dei singoli Stati sulle loro economie. Si potrebbe allora pensare che il controllo statale si sposti al livello federale. Il nuovo super-stato federale si riprenderebbe quei poteri di controllo sull'economia che i singoli Stati avranno perso. Hayek risponde di no. Perché l'intervento statale sull'economia presuppone la capacità di mediare fra interessi contrapposti, di accettare compromessi ragionevoli, che non ci sono, o sono più difficili, fra popoli di Stati diversi. Come scrive Streeck riassumendo Hayek, "in una federazione di stati nazionali la diversità di interessi è maggiore di quella presente all'interno di un singolo stato, e allo stesso tempo è più debole il sentimento di appartenenza a un'identità in nome della quale superare i conflitti stessi (…). Un'omogeneità strutturale, derivante da dimensioni limitate e tradizioni comuni, permette interventi sulla vita sociale ed economica che non risulterebbero accettabili nel quadro di unità politiche più ampie e per questo meno omogenee (pagg.121-122)"

Si tratta ovviamente della stessa tesi che abbiamo sostenuto più volte nel nostro libro e in questo blog: non esiste un popolo europeo che possa essere la base sociale di uno “Stato sociale europeo”. E' impressionante la lucidità di Hayek, che aveva capito tutto questo nel 1939."

La lucidità di avere capito che gli "Stati Uniti d'Europa", fine ultimo e sogno della costruzione europea, altro non potrebbero essere che il compimento pieno e dispiegato dello "Stato minimo".
"[...]
Attinta dalla generale condanna della sua arbitrarietà, l'attività dello Stato sarà da delimitare progressivamente alla costruzione di "strade"...e alla segnaletica, mentre non è esclusa la progressiva privatizzazione, per di più in un mercato di cui si auspica la apertura "mondiale", di attività come difesa e pubblica sicurezza; queste, poi, finiscono per essere, in ultima analisi destinate a tutelare la proprietà produttiva, sul territorio nazionale come all'estero. Istruzione, previdenza e sanità sono invece nel tipico campo di elezione della "libertà" dei privati operatori economici. Lo Stato minimo ne è doverosamente escluso.
Un "punto di arrivo" indubbiamente, ma non un obiettivo che può dirsi estraneo alla strumentazione messa in campo coi trattati europei.

Che questa sia una costruzione ideale, ma non tanto (nutrendo Hayek espressamente fiducia nel fatto che "un giorno" esisteranno le condizioni politiche per realizzarla:...vi ricorda qualcosa?), e non segna alcuna fondamentale incompatibilità col disegno UE-UEM, che, come già sul piano monetario, ammette un processo strategico che utilizza strumenti di progressiva realizzazione di tale "schema ideale" condivendendone i fini essenziali.
In questa chiave "progressiva" si possono comprendere anche gli elevati livelli di tassazione: si tratta di una condizione transitoria e, naturalmente strumentale, che sconta la modifica del precedente ordine costituzionale dei welfare, mirando a farlo collassare, per rigetto del corpo sociale, mediante la imposizione del vincolo monetario (ad effetti equipollenti "in parte qua" al gold standard) e dei ben noti "vincoli" di deficit e di ammontare del debito, posti rispetto ai bilanci pubblici.
I quali, naturalmente, in una fase iniziale, pazientemente durevole, debbono "rientrare", consolidarsi, aumentando l'imposizione fiscale, prima di poter procedere, verificatesi le condizioni politiche, al taglio strutturale della spesa pubblica.
Alla fine, la gente, avvertendo come insopportabile il costo dei diritti sociali, cioè del welfare, invocherà il loro smantellamento, pur di vedersi sollevata da questa insopportabile tassazione."

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