martedì 23 aprile 2013

Considerazioni in-attuali su sincronicità, privatizzazioni, "exit strategy"

Il principio junghiano di Sincronicità afferma l'esistenza di "coincidenze significative", ovvero nessi semantici, o simbolici, che legano eventi che accadono simultaneamente in luoghi diversi, anche molto distanti tra loro, eventi quindi che non sono correlabili in base alla legge di causa-effetto ma la cui contemporaneità non è da ritenersi arbitraria. Se c'è del vero in questo principio, come peraltro già testimoniano millenni di pensiero “magico” e orientale, allora non può essere frutto del caso se lo stesso giorno, il 18 aprile 2013, accadono i seguenti avvenimenti:

- comincia a consumarsi l'asta per l'elezione del Presidente della Repubblica Italiana all'insegna del grido "avanti a chi offre di più", a cui partecipano tutte le forze politiche presenti in Parlamento, tutte ugualmente inchiodate al più classico degli schemi "scegli tra il peggio e il meno peggio". Si celebra quindi, a distanza di due mesi dalle elezioni politiche 2013, con buona pace delle "istanze di rinnovamento" unico messaggio uscito forte e chiaro dalle urne, un'alchimia perfettamente organica all'attuale fase terminale e agonizzante della "seconda repubblica". I giocatori estraggono ciascuno la propria carta, ma tutte provengono dal medesimo mazzo (truccato?), lo stesso con cui si è cominciato a giocare qualche decennio fa, ai tempi della lontana, ma tutt'oggi in ottima salute a guardare il personale politico “di prima fascia”, "prima repubblica".

- viene pubblicato sul blog del giurista L. Barra Caracciolo il seguente AGGIORNAMENTO FRATTALICO: USA, VON HAYEK E LA NUOVA DEMOCRAZIA POSSIBILE: se messo a confronto con i temi "caldi di giornata" che nelle stesse ore accendono il dibattito e attanagliano politici, media, opinione pubblica, il post sembra arrivato per raccomandata direttamente dal pianeta Marte.
Fin dalle prime battute, è un coperchio d'acciaio calato impietosamente sulle troppe, interminabili, rissose chiacchiere intorno al nulla.
"Sto cominciando a maturare la convinzione che, in assenza di stalinismo alle porte, è impossibile replicare la stagione keynesiana-costituzionale post 1943. Al massimo si potrà recuperare la flessibilità del cambio e una certa limitata cooperazione delle BC (sempre nei limiti dell'interesse bancario nazionale).
E sarebbe già tanto."
Certo, dovrebbe esserci la Costituzione a tutela fondamentale del corretto equilibrio tra interesse pubblico e business privato, come recita, in particolare, l'art. 41 Cost.:
"L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali."
Tuttavia, qualcosa non ha funzionato, dai primi anni 80 tutti i governi del Paese hanno portato avanti il piano delle Privatizzazioni, declinate all'italiana bene inteso. La causa non è da imputare a una presunta invasione liberista del suolo patrio, che avrebbe infettato in particolare la sinistra, da allora e fino ai giorni nostri entusiasta promotrice del processo, in apparente contraddizione con se stessa.
Piuttosto, trovando conferma nella citazione dell'economista M. Florio, "La mia lettura del caso italiano è che le cose qui sono andate anche peggio che in Gran Bretagna. Sia i governi di centro-sinistra che quelli di centro-destra hanno cercato di fare cassa vendendo soprattutto banche, telecomunicazioni, autostrade, aziende del settore dell’energia, anche altro, ma con effetti del tutto irrilevanti o modesti sul piano dell’efficienza e del benessere degli utenti, e invece distribuendo rendite ad ambienti capitalistici più o meno parassitari.
Mi sono convinto, soprattutto studiando il caso Telecom Italia che la vera origine delle privatizzazioni non sia il liberismo, anche se ovviamente i miti della libera concorrenza hanno avuto un peso nella retorica, ma uno scambio fra rendite politiche e finanziarie.[..] in particolare la sinistra, oltre più ovviamente la destra, ha cercato di accreditarsi presso i gestori della finanza offrendo loro in pasto delle attività perfette per montarvi operazioni speculative, garantite dalla dinamica nel tempo dei flussi di cassa. Il caso delle autostrade è in questo senso emblematico. Il rischio imprenditoriale è nullo, la rendita garantita, gli investimenti attuati minimi e neppure rispettati, le tariffe aumentano con e più dell’inflazione, il contribuente continua a farsi carico della spesa per la rete in aree meno ricche e più a rischio (vedi autostrada Salerno-Reggio Calabria e grande viabilità interregionale), mentre un ambiente imprenditoriale come quello dei Benetton e altri sono diventati dei concessionari, con tutto quello che questo implica di rapporti con la politica."
La stessa politica che nei decenni scorsi ha dapprima occupato ogni spazio disponibile del settore pubblico, per poi ingegnarsi, utilizzando posti di lavoro buro-indotto e incarichi come merce di scambio elettorale, nella creazione di allevamenti di consenso e di voti (e i sindacati?).
"Ovviamente, nel settore pubblico, ad esempio nelle università, si annidano aree anche ampie di parassitismo sociale: ma sarebbe molto meno costoso, e quindi più produttivo, motivare [sic] i dirigenti e sensibilizzare gli utenti dei servizi pubblici, eliminando così questa patologia attraverso un maggiore controllo democratico e un management di qualità."

Traendo una conclusione sommaria e provvisoria: sarebbe dunque necessario "bonificare" un'intera classe politica e dirigente, né più né meno; al contrario, qualora non si dovesse conseguire tale "pre-condizione ambientale", come potrebbe essere attuata una "Exit Strategy" dalla UEM capace di prefigurare, come sua parte costitutiva e complementare al ripristino della sovranità monetaria, una nuova politica industriale ed economica per l'Italia (che manca da 30 anni)?
Perché pare evidente che se si sottraesse a tale compito, sicuramente immane, rinchiudendosi in un'illusione "monetarista" sulla svalutazione della futura Lira rispetto all'Euro come taumaturgia, oppure venisse meno il suddetto "pre-requisito ambientale", una "Exit Strategy" dalla UEM condurrebbe in un vicolo cieco.
O, peggio ancora, si potrebbe cadere dalla padella nella brace, come paventa E. Brancaccio nel suo L’euro è un morto che cammina, exit strategy da sinistra
Si determinerebbe infatti il seguente rischio mortale: una "Exit Strategy" congegnata in maniera "monca", o non supportata da “interpreti” adeguati, potrebbe finire con l'essere recepita e applicata paradossalmente proprio dallo stesso sistema di potere nazionale che ha fatto dell'Europa l'emblema necessario e sufficiente per legittimarsi negli ultimi decenni dinanzi all'opinione pubblica, fino alle più recenti e ostentate esternazioni della serie "E' l'Europa che ce lo chiede".
Non appena giungesse alla percezione chiara e distinta che il vento di Bruxelles sta cambiando direzione, il Sistema dei Partiti di casa nostra si affretterebbe a rifarsi una verginità aggrappandosi al nuovo verbo dell'anti-europeismo, ingolosito dall'opportunità di aprire la caccia, in virtù della nuova moneta fortemente svalutata, alle acquisizioni a buon mercato degli asset italiani sopravvissuti: gli ultimi, ultra-convenienti, saldi di fine stagione.

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