giovedì 13 febbraio 2014

Fuori fuoco

C'è questa sequenza formidabile nel film "Harry a pezzi" di Woody Allen, nella quale Robin Williams, che interpreta l'attore "Mel", scopre di essere "fuori fuoco". In realtà i primi a scoprirlo sono gli altri, i membri della troupe, durante le riprese su un set cinematografico. Increduli, dapprima attribuiscono il "difetto" alla macchina da presa, alle lenti dell'obiettivo, finché, compresa la "insolita" verità, invitano l'attore a prendersi un po' di riposo...
Ma una volta a casa, dinanzi allo stupore della moglie e dei figli ("hai un'aria strana, sei sbiadito, appannato"), le cose per Robin Willams non migliorano. Anzi, il mattino dopo, al risveglio, l'attore è ancora più sfocato del giorno prima.
Qual è la causa del "disturbo"? Stress da lavoro, depressione, angoscia esistenziale? Non è dato saperlo. Il medico che dovrebbe "risolvere il problema", dopo averlo visitato non azzarda una diagnosi. Piuttosto, conclude, "lei non ha proprio niente, solo che è fuori fuoco". Non c'è tempo da perdere: l'importante, dopo tutto, è che gli altri, a cominciare dai suoi familiari, tornino a vederlo "normale", anche perché da un simile fenomeno, senza precedenti, è pressoché impossibile distogliere lo sguardo, ma al tempo stesso, come lamenta la moglie dell'attore, alla lunga "fa venire il mal di mare".
Ecco dunque la "correzione": Robin Williams rimarrà, per quanto ne sappiamo, fuori fuoco, ma gli altri non se accorgeranno, e finiranno con il dimenticarsene, purché prendano la precauzione di indossare, in sua presenza, appositi occhiali.

L'essere fuori fuoco mette a nudo, esasperandola, la verità personale, esistenziale di Robin Williams, ovvero del suo alter ego "Mel": la star di Hollywood che non sopporta più di essere al centro dell'attenzione, di avere i riflettori puntati addosso, perché sa che la prossimità con il suo pubblico che così si viene a creare è soltanto un'illusione, che  vorrebbe tirarsi fuori dal giuoco; ma che, essendo con tutta probabilità inchiodato al suo stesso "carisma hoolywoodiano", alla "parte" extra-scenica che si è lasciato cucire addosso troppo a lungo, finisce soltanto per uscire dal fuoco, continuando suo malgrado ad attirare l'attenzione, non più tuttavia come star del cinema bensì come parodia, caricatura di se stesso,  proprio perché obbliga lo sguardo a posarsi là dove, a causa del fastidio che ne deriva, non vorrebbe guardare.
E' probabile che l'attore non tornerà più quello di prima - indietro, è risaputo, non torna mai niente - ma ciò che conta è che torni ad essere socialmente accettabile, nella dimensione pubblica (lavoro) e privata (famiglia), l'importante è che l'interrogativo che la sua sfocatezza pone agli altri venga ricacciato dentro, nascosto e infine dimenticato, che gli altri vengano protetti, messi al sicuro dalla "stortura che è diventato", con il semplice accorgimento di un paio di occhiali per "vedere meglio", ovvero non vedere ciò che, non apparendo "normale", disturba (espediente a cui tutti si adegueranno volentieri, tranne - e non è un caso - i figli bambini, gli unici ad opporre qualche resistenza).

E' così. Ci saranno sempre, per gli individui fuori fuoco che, ogni giorno più numerosi, calpestano frettolosi l'asfalto, in cerca di qualcosa, di un riparo dalla tempesta, che disperdono come sabbia messaggi nelle catacombe di Facebook, che smarriscono la loro voce inascoltata nella miriade di voci inascoltate;  ci saranno sempre, per costoro, forgiati dalla solitudine, insonni, terrorizzati dal futuro, occhiali da far indossare a chi li circonda,  in modo che la loro "stortura" passi inosservata.

Harry a pezzi - Fuori fuoco
(min. 3:00)

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