venerdì 24 aprile 2015

Ritratto di una depressione (parte terza)

La giovane donna depressa aveva, così si era espressa senza mezzi termini nel corso di una seduta di psicoterapia, archiviato negli ultimi mesi le frequentazioni a suo dire del tutto effimere dell’adolescenza e giovinezza, le “amiche di vecchia data” – aveva sottolineato l'espressione con un tono sarcastico della voce, inoltre in quel medesimo istante aveva messo l'espressione tra virgolette con il gesto delle dita mentre la pronunciava di fronte alla psicoterapeuta - le “amiche di vecchia data” che a differenza di lei si erano tutte sistemate da tempo con un uomo una volta per tutte, “amiche” per le quali, assediate com'erano dalla quotidianità dei rispettivi mariti e pargoli, la depressione era un lusso che non si potevano concedere, frase che una delle suddette “amiche di vecchia data” aveva pronunciato – senza dubbio per rappresaglia nei confronti della donna depressa - nel corso di una telefonata attraversata da una corrente sotterranea di impenetrabile ostilità reciproca, raggiungendo lo scopo di trapassare emotivamente da parte a parte la giovane donna depressa.

giovedì 23 aprile 2015

Ritratto di una depressione (parte seconda)

La giovane donna depressa giudicava tristemente ironico, anzi umiliante e patetico, il suo essere costretta a comprare l'ascolto attento e partecipe di qualcuno, a corrispondere denaro per ricevere in cambio un aiuto equilibrato e paziente da parte di un'altra persona; anche se poi, ripensandoci a mente fredda, era perfettamente in grado di comprendere come il fatto che la psicoterapeuta non nutrisse altra aspettativa o pretesa nei suoi confronti a parte quella di venire pagata puntualmente al termine di ogni seduta garantisse quel distacco professionale nel rapporto tra le due donne indispensabile a renderlo immune dalle fluttuazioni emotive, dalle dinamiche ricattatorie e dai saliscendi umorali propri delle interazioni naturali tra persone.

martedì 21 aprile 2015

Ritratto di una depressione (parte prima)

La giovane donna depressa aveva trovato il modo di riempire con il lavoro la quasi totalità delle ore di veglia, per quanto giudicasse l’ambiente nel quale alcuni anni addietro si era volontariamente rinchiusa ripugnante e ottuso oltre ogni possibile descrizione. Tuttavia, segregarsi il più a lungo possibile nel posto di lavoro, per quanto si trattasse di una reclusione spaventosa e ipocrita (aveva finito con l’ammetterlo, con le lacrime agli occhi, nel corso di una seduta di psicoterapia nella quale ricordava di avere sollevato e spostato dentro di sé, per lunghi interminabili minuti, blocchi di sofferenza psichica pesanti come macigni), era in ogni caso, per la giovane donna depressa, preferibile rispetto a quella spirale autodistruttiva del pensiero rappresentata dalla questione della cosiddetta occupazione del tempo libero.