Il principio junghiano di Sincronicità
afferma l'esistenza di "coincidenze significative", ovvero
nessi semantici, o simbolici, che legano
eventi che accadono simultaneamente in luoghi diversi, anche molto
distanti tra loro, eventi quindi che non sono correlabili in base
alla legge di causa-effetto ma la cui contemporaneità non è da
ritenersi arbitraria. Se c'è del vero in questo principio, come
peraltro già testimoniano millenni di pensiero “magico” e
orientale, allora non può essere frutto del caso se lo stesso
giorno, il 18 aprile 2013, accadono i seguenti avvenimenti:
- comincia a consumarsi l'asta per
l'elezione del Presidente della Repubblica Italiana all'insegna del
grido "avanti a chi offre di più", a cui partecipano tutte
le forze politiche presenti in Parlamento, tutte ugualmente
inchiodate al più classico degli schemi "scegli tra il peggio e
il meno peggio". Si celebra quindi, a distanza di due mesi dalle
elezioni politiche 2013, con buona pace delle "istanze di
rinnovamento" unico messaggio uscito forte e chiaro dalle urne,
un'alchimia perfettamente organica all'attuale fase terminale e
agonizzante della "seconda repubblica". I giocatori
estraggono ciascuno la propria carta, ma tutte provengono dal
medesimo mazzo (truccato?), lo stesso con cui si è cominciato a
giocare qualche decennio fa, ai tempi della lontana, ma tutt'oggi in
ottima salute a guardare il personale politico “di prima fascia”,
"prima repubblica".
- viene pubblicato sul blog del
giurista L. Barra Caracciolo il seguente AGGIORNAMENTO FRATTALICO: USA, VON HAYEK E LA NUOVA DEMOCRAZIA POSSIBILE:
se messo a confronto con i temi "caldi di giornata" che
nelle stesse ore accendono il dibattito e attanagliano politici,
media, opinione pubblica, il post sembra arrivato per raccomandata
direttamente dal pianeta Marte.
Fin dalle prime battute, è un
coperchio d'acciaio calato impietosamente sulle troppe,
interminabili, rissose chiacchiere intorno al nulla.
"Sto cominciando a maturare la
convinzione che, in assenza di stalinismo alle porte, è impossibile
replicare la stagione keynesiana-costituzionale post 1943. Al massimo
si potrà recuperare la flessibilità del cambio e una certa limitata
cooperazione delle BC (sempre nei limiti dell'interesse bancario
nazionale).
E sarebbe già tanto."
Certo, dovrebbe esserci la Costituzione
a tutela fondamentale del corretto equilibrio tra interesse pubblico
e business privato, come recita, in particolare, l'art. 41 Cost.:
"L'iniziativa economica privata è
libera.
Non può svolgersi in contrasto con
l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i
controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata
possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali."
Tuttavia, qualcosa non ha funzionato,
dai primi anni 80 tutti i governi del Paese hanno portato avanti il
piano delle Privatizzazioni, declinate all'italiana bene inteso. La causa non è
da imputare a una presunta invasione liberista del suolo patrio, che
avrebbe infettato in particolare la sinistra, da allora e fino ai
giorni nostri entusiasta promotrice del processo, in apparente
contraddizione con se stessa.
Piuttosto, trovando conferma nella
citazione dell'economista M. Florio, "La mia lettura del caso
italiano è che le cose qui sono andate anche peggio che in Gran
Bretagna. Sia i governi di centro-sinistra che quelli di
centro-destra hanno cercato di fare cassa vendendo soprattutto
banche, telecomunicazioni, autostrade, aziende del settore
dell’energia, anche altro, ma con effetti del tutto irrilevanti o
modesti sul piano dell’efficienza e del benessere degli utenti, e
invece distribuendo rendite ad ambienti capitalistici più o meno
parassitari.
Mi sono convinto, soprattutto studiando
il caso Telecom Italia che la vera origine delle privatizzazioni non
sia il liberismo, anche se ovviamente i miti della libera concorrenza
hanno avuto un peso nella retorica, ma uno scambio fra rendite
politiche e finanziarie.[..] in particolare la sinistra, oltre più
ovviamente la destra, ha cercato di accreditarsi presso i gestori
della finanza offrendo loro in pasto delle attività perfette per
montarvi operazioni speculative, garantite dalla dinamica nel tempo
dei flussi di cassa. Il caso delle autostrade è in questo senso
emblematico. Il rischio imprenditoriale è nullo, la rendita
garantita, gli investimenti attuati minimi e neppure rispettati, le
tariffe aumentano con e più dell’inflazione, il contribuente
continua a farsi carico della spesa per la rete in aree meno ricche e
più a rischio (vedi autostrada Salerno-Reggio Calabria e grande
viabilità interregionale), mentre un ambiente imprenditoriale come
quello dei Benetton e altri sono diventati dei concessionari, con
tutto quello che questo implica di rapporti con la politica."
La stessa politica che nei decenni
scorsi ha dapprima occupato ogni spazio disponibile del settore
pubblico, per poi ingegnarsi, utilizzando posti di lavoro
buro-indotto e incarichi come merce di scambio elettorale, nella
creazione di allevamenti di consenso e di voti (e i sindacati?).
"Ovviamente, nel settore pubblico,
ad esempio nelle università, si annidano aree anche ampie di
parassitismo sociale: ma sarebbe molto meno costoso, e quindi più
produttivo, motivare [sic] i dirigenti e sensibilizzare gli utenti
dei servizi pubblici, eliminando così questa patologia attraverso un
maggiore controllo democratico e un management di qualità."
Traendo una conclusione sommaria e
provvisoria: sarebbe dunque necessario "bonificare"
un'intera classe politica e dirigente, né più né meno; al
contrario, qualora non si dovesse conseguire tale "pre-condizione
ambientale", come potrebbe essere attuata una "Exit
Strategy" dalla UEM capace di prefigurare, come sua parte
costitutiva e complementare al ripristino della sovranità monetaria,
una nuova politica industriale ed economica per l'Italia (che manca
da 30 anni)?
Perché pare evidente che se si
sottraesse a tale compito, sicuramente immane, rinchiudendosi in
un'illusione "monetarista" sulla svalutazione della futura
Lira rispetto all'Euro come taumaturgia, oppure venisse meno il
suddetto "pre-requisito ambientale", una "Exit
Strategy" dalla UEM condurrebbe in un vicolo cieco.
O, peggio ancora, si potrebbe cadere
dalla padella nella brace, come paventa E. Brancaccio nel suo L’euro è un morto che cammina, exit strategy da sinistra
Si determinerebbe infatti il seguente
rischio mortale: una "Exit Strategy" congegnata in maniera
"monca", o non supportata da “interpreti” adeguati,
potrebbe finire con l'essere recepita e applicata paradossalmente
proprio dallo stesso sistema di potere nazionale che ha fatto
dell'Europa l'emblema necessario e sufficiente per legittimarsi negli
ultimi decenni dinanzi all'opinione pubblica, fino alle più recenti
e ostentate esternazioni della serie "E' l'Europa che ce lo
chiede".
Non appena giungesse alla percezione
chiara e distinta che il vento di Bruxelles sta cambiando direzione, il Sistema dei Partiti di casa nostra si affretterebbe a rifarsi una verginità
aggrappandosi al nuovo verbo dell'anti-europeismo, ingolosito
dall'opportunità di aprire la caccia, in virtù della nuova moneta
fortemente svalutata, alle acquisizioni a buon mercato degli asset
italiani sopravvissuti: gli ultimi, ultra-convenienti, saldi di fine
stagione.